Acquacoltura intensiva

L’acquacoltura intensiva consiste nell’allevamento a elevate densità, di pesci, molluschi e crostacei in condizioni controllate, siano esse confinate, come vasche d’allevamento o impianti artificiali costieri, o non confinate come gabbie a mare o allevamenti di molluschi bivalvi in colonna d’acqua o su fondali liberi.

In tutti i casi, a vario grado, gli allevamenti intensivi e semi-intensivi spesso comportano impatti ambientali negativi sugli ecosistemi ospitanti e sulle risorse ittiche selvatiche.

Questi impatti si possono raggruppare nelle seguenti categorie:

Produzione di reflui inquinanti:

È ampiamente dimostrato come a causa del grande quantitativo di mangime somministrato e delle elevate densità di allevamento, l’acquacoltura intensiva produca alti livelli di rifiuti organici (feci, residui di cibo, metaboliti, ecc). Queste sostanze, ricche di composti organici, sono in grado di portare forti squilibri ambientali innescando fenomeni di eutrofizzazione (crescita incontrollata di alghe e fitoplancton) con conseguenze negative per l’ambiente circostante, soprattutto a livello dei fondali.

Trattamenti sanitari:

La somministrazione di medicinali e vaccini è praticata negli allevamenti intensivi con lo scopo di prevenire l’insorgere di epidemie e scongiurare perdite di prodotto. L’utilizzo di antibiotici e antiparassitari non è ovviamente privo di impatti ecologici e sanitari, e non ha tardato a sollevare grandi polemiche a livello mediatico.

Non esistono ancora dati certi riguardo l’effetto sull’ecosistema degli antibiotici utilizzati in acquacoltura, anche se, a titolo di esempio, alcuni casi di studio hanno dimostrato un legame causa-effetto fra utilizzo di questi medicinali e la diminuzione del tasso di crescita di specie algali alla base delle reti trofiche locali (Science for Environment Policy – UE Commission). Questione chiave risulta inoltre la possibilità, già paventata per l’allevamento zootecnico tradizionale, di trasferire la resistenza agli antibiotici attraverso la catena trofica, ai ceppi batterici che colpiscono l’uomo.

La rigida regolamentazione sull’utilizzo precauzionale dei medicinali, il miglioramento delle tecniche di allevamento, il trattamento adeguato dei rifiuti, e lo sviluppo del settore a favore di situazioni sempre meno intensive, rappresenta  l’unica soluzione a questa criticità.

Inquinamento genetico:

È ormai realtà comprovata quella dell’inquinamento genetico delle popolazioni selvatiche mediante ibridazione con organismi fuggiti accidentalmente dagli allevamenti o a seguito di rilascio di gameti in gabbie a mare, con ciò che ne consegue in termini di impoverimento della biodiversità.

Nella fattispecie il danno è riconducibile alla forte selezione artificiale effettuata in ambiente di allevamento a favore di caratteristiche quali ad esempio il rapido accrescimento o la bassa aggressività; l’ibridazione con la popolazione selvatica potrebbe provocare effettivamente la trasmissione di tali caratteri a scapito della capacità di sopravvivenza degli ibridi in ambiente naturale.

L’allevamento di specie alloctone (soprattutto invertebrati), originarie cioè di altre zone del pianeta, spesso provoca gravi squilibri dal momento che tali specie possono essere più competitive per spazio e risorse alimentari, delle specie autoctone che occupano la stessa nicchia ecologica.

Inquinamento chimico:

Nella gestione degli impianti di allevamento sono impiegati grandi quantitativi di sostanze chimiche, soprattutto biocidi utilizzati come disinfettanti o nei trattamenti antivegetativi di reti e impianti subacquei.

Questi prodotti provocano effetti tossici, che spesso ricadono su organismi non target, tra i molti effetti si contano: rallentamento della crescita nei molluschi, danni agli apparati respiratori dei pesci e inibizione della crescita del fitoplancton. 

Nonostante l’evidente progresso fatto nella produzione di sostanze meno dannose e nel loro utilizzo più responsabile (IUCN, 2017), la chimica nell’allevamento intensivo rimane una criticità fondamentale della sostenibilità di questo settore produttivo.

Allevamento di specie carnivore:

In Europa un quarto del volume allevato in acquacoltura è costituito da specie carnivore come salmoni e spigole (Science for Environment Policy – UE Commission). In questo contesto fa molto discutere il paradosso per il quale l’allevamento ittico, che dovrebbe mirare a salvaguardare gli stock selvatici, nel caso di specie carnivore sia invece un fattore determinante nell’intaccare proprio queste risorse. È il caso dei mangimi prodotti a partire da specie selvatiche a basso valore commerciale, che vengono a loro volta pescate per essere trasformate in mangime.

Molto si è fatto recentemente per ridurre la dipendenza da fonti selvatiche, e alcune strade sembrano promettere una maggiore sostenibilità, tra le possibili si contano l’utilizzo di materiale di scarto dell’industria di trasformazione ittica, mangimi vegetali ad alto contenuto proteico e alimenti ingegnerizzati a partire da microrganismi marini fonti di omega-3.

 

A quelli sopra citati si sommano una serie di impatti strettamente correlati all’industria dell’acquacoltura, come la distruzione di ecosistemi vergini per far spazio agli allevamenti di crostacei, è il caso ad esempio della scomparsa dei mangrovieti nel sud-est asiatico ed in Ecuador, o le polemiche sulla sicurezza alimentare legata alla produzione di specie ittiche in zone del pianeta fortemente inquinate, come avviene nel delta del Mekong.

Ma l’acquacoltura può essere sostenibile, può ridurre i suoi impatti sull’ecosistema come già mostra di voler fare, creando standard condivisi sui quali basare una certificazione di qualità e una tracciabilità che garantisca la sicurezza del prodotto; ancora, puntando sulla produzione non intensiva di specie onnivore o erbivore (carpe, cefali, ecc.) che richiedano meno energia per l’accrescimento; sostenendo pratiche di allevamento a minor impatto come la molluschicoltura e l’allevamento integrato in cui avvenga la sinergia fra cicli di produzione vegetale e animale (acquaponica, allevamenti ittici in risaie, ecc).